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L'illuminismo pirata di David Graeber

Di Matteo Moca • marzo 05, 2021

David Graeber, antropologo e insegnante alla London School of Economics, nato a New York nel 1962, originario di una famiglia ebraica della working class, è morto improvvisamente a Venezia nel settembre del 2020. A darne notizia era stata la moglie, Nika Dubrovsky, che su Twitter scriveva di come nel clima mite del capoluogo veneto, era scomparsa la persona migliore del mondo. Erica Lagalisse invece, autrice dell'importante saggio Anarcoccultismo. Dissertazione sulle cospirazioni dei re e sulle cospirazioni dei popoli di Lagalisse (tradotto in italiano lo scorso anno da Enrico Monacelli per D Editore) e compagna per diversi anni di Graeber, in un suo ricordo ha scritto, scherzando ma non troppo, di come Graeber fosse «l'Elvis dell'antropologia» e ha sottolineato quello che è probabilmente il valore più profondo dell'opera dell'antropologo anarchico: «David è stato uno dei pochi antropologi sufficientemente motivati dal punto di vista politico da essere in grado di mostrarci come gli strumenti dell’antropologia classica possano continuare a insegnarci qualcosa sull’umanità e sulle nostre possibilità (come collettività) di cambiare la società». Come anche i suoi attenti lettori italiani gli hanno riconosciuto, una minoranza interessata sinceramente al suo lavoro appassionato, il ruolo di Graeber all'interno degli studi antropologici riveste una posizione di primissimo piano, fosse solo per un modo di fare antropologia che includeva organicamente lo studio della storia, vagare per gli archivi e scartabellare documenti e manoscritti.

È testimonianza di questo modo di procedere l'ultimo libro pubblicato in Italia di Graeber L'utopia pirata di Libertalia (Eleuthera, con la traduzione di Elena Cantoni, editore attento alle utopie pirata come testimoniano libri come La vita all'ombra del Jolly Roger di Gabriel Kuhn o il classico di Markus Rediker Canaglie di tutto il mondo), «un libro sui regni reali o immaginari dei pirati» a cavallo tra la fine del Seicento e l'inizio del Settecento sulla costa orientale del Madagascar.

Graeber sottolinea fin dall'inizio come il groviglio di racconti su questo regno in cui si susseguivano e sovrapponevano atroci delitti e luminose utopie, fatti che non mancavano di intrattenere i frequentatori dei caffè europei, porti a un groviglio di verità e finzione impossibile da districare. Eppure la domanda sull'esistenza o meno di Libertalia non ha in fondo un valore così fondamentale, innanzitutto perché resta dimostrabile come in quelle zone ci furono effettivamente esperimenti sociali radicali: i pirati infatti in quelle zone istituirono delle nuove forme di governo, tra l'altro in collaborazione con la popolazione malgascia. Ma la questione sull'effettiva esistenza perde valore anche da un altro punto di vista, giustamente sottolineato da Graeber: queste storie, reali o meno, hanno continuato ad affascinare e a essere raccontate e questo è un fenomeno storico non di poco conto: si può dire che questi racconti, utilizzando una terminologia marxiana, «fossero una forza materiale della storia» e il continuo tramandarsi di queste storie di pirati e libertà è anche dovuto al fatto che queste «incarnano una visione della libertà umana che non soltanto continua ad apparire rilevante, ma offre un'alternativa a quelle adottate dai Salons europei e che restano dominanti ancora oggi».

La narrazione di Graeber, perché questo è un elemento centrale della sua opera, l'andamento narrativo che non perde però nulla della sua scientificità, muove dal fatto che è «estremamente difficile essere obiettivi sui pirati» e il fatto che molti storici non ci provino nemmeno, a dirlo è sempre Graeber, apre a un altro luogo importante della sua opera, la scelta di argomenti originali e il posizionarsi, come scrive Franco La Cecla nell'introduzione partecipata a L'utopia pirata di Libertalia, «fuori dal coro». Eppure tutto si tiene nell'opera di Graeber e la lucidità scientifica della sua applied anthropology si riversa in ogni oggetto di studio, sempre coerente con le domande più urgenti dell'antropologia e nella scia dei grandi studi del suo maestro Marshall Sahlins.

Esempio lampante di questo modo di procedere di Graber è il suo libro Debito. I primi cinquemila anni (Il Saggiatore), dove l'antropologo con lo stile colloquiale e accattivante che contraddistingue la sua opera e con uno sguardo trasversale che incrocia oltre all'antropologia la filosofia, la storia e anche la teologia («rimetti a noi i nostri debiti» recita una delle preghiere cristiane più recitate), indaga il debito non solo come una forma di asservimento all'interno della società, forma certamente presente e antica, ma anche come una «subordinazione dell'economia alla sfera delle relazioni e dei legami». In questo libro si può rintracciare anche l'aspetto militante del lavoro di Graeber, tra i protagonisti del movimento Occupy Wall Street, perché in questa lunga e attenta analisi di come ogni società nel tempo abbia provato a evitare i problemi che l'indebitamento genera tra cui la destabilizzazione sociale, emerge limpidamente la necessità di intervenire rispetto ai debiti delle famiglie americane e degli studenti spolpati dal sistema universitario americano, nel continuo tentativo di smontare il meccanismo che sembra scandire in maniera indissolubile il rapporto “credito-debito”.

In campo in questa ricerca è una riflessione sulle questioni del presente, come lo è anche il lavoro che sta alla base di Bullshit jobs (Garzanti), una ricerca sui lavori percepiti come “inutili” nata da una serie di domande pubblicate in rete: «se il vostro lavoro non esistesse, quanti ne sentirebbero la mancanza? Qual è il contributo significativo che offre al mondo?». Il fatto che a rispondere a queste domande fu un numero enorme di persone e che circa il quaranta per cento di queste si diceva consapevole di quanto il loro lavoro fosse privo di senso, un bullshit job appunto, apre a una riflessione sulle deformazioni del mondo capitalistico che si riversa nel pensiero privato, perché se è vero che si riconosce l'inutilità del proprio lavoro, è altrettanto vero che deve esserci lo sforzo di evitare di riconoscerlo, perché il rischio di identificare la vita come priva di senso è in agguato.

Le formule di difesa del proprio lavoro e la consapevolezza dell'inutilità portano a una condizione di vita schizofrenica e la possibilità di fare carriera, come scrive in un altro libro importantissimo come Burocrazia (Il Saggiatore), è vincolata al fatto di stare al gioco, essere fedeli al proprio datore di lavoro e fare finta che il mondo del lavoro obbedisca a qualche senso. Leggendo i lavori di Graeber si capisce subito come ogni suo tentativo di sintetizzare moduli teorici da applicare sottostia a una ricerca consapevole a attenta sul presente e sulla realtà vissuta in modo che i frutti della ricerca diventino «fenomenologia del presente» in grado di generare nuove categorie interpretative senza rimanere prigioniero delle strette maglie della teoria spesso avulsa dalla realtà. Nelle sue opere si può osservare una tensione dello sguardo che si muove in maniera perpetua tra il fenomeno ristretto osservato in aree geografiche o comunità ristrette e i processi ampi, complessi e universali che non hanno ancora finito di compiersi. Come ricorda La Cecla, anche lo studio sull'esperienza pirata in Madagascar, a differenza di quanto potrebbe sembrare, è legata e fedele al vissuto perché, come si diceva in precedenza, studiare le repubbliche dei pirati è un modo per congiungersi alle derive dell'immaginario del presente che trovano un punto di riferimento in queste storie.

La storia di queste utopie affascinò per esempio uno scrittore fuori dall'ordinario come William Burroughs che ambienta una delle sue storie più allucinante, La febbre del ragno rosso, proprio all'inizio del XVIII secolo, nella colonia del Madagascar di Libertalia. Qui troviamo il capitano Mission, una delle figure leggendarie della storia di Libertalia, che non muore in un naufragio sulla sua nave, ma diventa protagonista di un viaggio allucinato e iniziatico nutrito dai cristalli di indri, una droga che «nella lingua locale significava “guarda bene”»: nell'apice di questo viaggio, quando l'allucinazione diventa talmente forte da sovrapporsi totalmente alla realtà, il protagonista conosce la deriva tragica che attende gli uomini, avviati «inesorabilmente verso il linguaggio, il tempo, l’uso di strumenti, la guerra, lo sfruttamento e la schiavitù». Nella realtà della storia raccontata da Graeber questi pirati sembrano invece immaginare un mondo che si salvi dalla deriva descritta da Burroughs, dando un'approssimazione dell'idea moderna di democrazia che si pone in rapporto dialettico rispetto al governo di un re e anticipando alcune forme dell'illuminismo che nascerà negli stessi café e salons popolati da intellettuali curiosi di conoscere le storie dei pirati nel lontano Madagascar, un «illuminismo pirata» nato sulle navi che accoglievano «un ampio assortimento di soggetti di varia provenienza» e quindi una serie di diverse strutture sociali e i cui componenti erano votati a «una sorta di approssimativo egualitarismo politico».

Nel suo ricordo citato all'inizio, Erica Lagalisse scrive che le piacerebbe che le idee di Graeber fossero rispettate per quello che erano, libere dall'accademizzazione: «sentiva seriamente che l'antropologia non dovesse rinunciare alla realtà (seguendo una sorta di "realismo critico"), pensava che l'anarchia e l'antropologia necessitassero un'analisi di classe, pensava che le decisioni importanti dovessero essere prese tramite il consenso popolare». Il ricordo di Lagalisse si chiude con un augurio sincero: «Riponete sul comodino per un po' Bullshit Jobs e leggete le sue ricerche sul Madagascar. David merita di essere ricordato per i valori che aveva a cuore: per la sua rigorosa cultura accademica e per essere una persona gentile e sciocca, con molte qualità che facevano sì che i suoi difetti venissero perdonati».

Leggere i libri di Graeber, e qui Lagalisse si riferisce a un altro testo dedicato alla schiavitù in Madagascar, può però portare anche a un sincero sentimento di rimpianto nei confronti di uno studioso e un pensatore capace di svincolarsi dai luoghi chiusi della teoria e affrontare con la stessa concentrazione e qualità argomenti diversi, muovendosi dal Madagascar del Seicento ai movimenti di Wall Street, dalla natura del potere regale agli anarchici del Quebec, mettendo, quando possibile, in gioco il suo stesso corpo, la sua stessa persona nella speranza, che si respira in ogni sua pagina, che il mondo sarebbe potuto davvero cambiare.

L'utopia pirata di Libertalia di David Graeber

Se l'esistenza storica di Libertalia non è comprovata, la visione utopica che l'ha resa leggendaria testimonia di una pratica politica egualitaria che dai ponti delle navi migra sulla terraferma nei tanti insediamenti pirata presenti lungo la costa malgascia durante l'epoca d'oro della filibusta. Una pratica del tutto estranea all'ordine mondiale vigente, ma in sorprendente sintonia con le idee illuministe che vanno affermandosi nei Salons parigini e che in Madagascar si meticciano con la cultura locale, portando a un esperimento unico di Illuminismo pirata a guida malgascia.

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Debito di David Graeber

David Graeber, l’antropologo alle origini del movimento di Seattle e del movimento Occupy (suo lo slogan «Siamo il 99%»), rivoluziona la teoria sociale ed economica in un libro destinato a rimanere nel tempo.In uno stile colloquiale e diretto, attraverso l’indagine storica, antropologica, filosofica, teologica, Graeber ribalta la versione tradizionale sulle origini dei mercati.

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La Febbre del Ragno Rosso di William S. Burroughs

All’inizio del XVIII secolo, il pirata Mission fonda in una remota baia del Madagascar la colonia di Libertatia, per dimostrare che trecento sbandati (pirati, marinai disertori, schiavi liberati) possono coesistere in relativa armonia fra di loro e con l’ambiente circostante. Nella casa che Mission ha ricavato da una antica e misteriosa struttura vive anche un lemure chiamato Fantasma: nel loro legame si rispecchia l’unione fra le due parti dell’organismo umano, l’una «scivolata dentro un’incantata innocenza senza tempo», l’altra «avviata inesorabilmente verso il linguaggio, il tempo, l’uso di strumenti, la guerra, lo sfruttamento e la schiavitù».

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I ribelli dell'Atlantico La storia perduta di un'Utopia libertaria di Marcus Rediker, Peter Linebaugh

I diseredati – marinai, schiavi, soldati, plebaglia, ma anche gruppi organizzati come i pirati e gli affiliati a sette religiose radicali – furono gli eroi di una guerra di classe che si protrasse per due secoli e la cui “storia dal basso” gli autori ricostruiscono in questo magnifico libro. Furono aperte vie commerciali, fondate colonie, avviata una nuova economia transatlantica. Tutto ciò rendeva vitale il controllo capillare dei lavoratori: debellare qualsiasi segno di rivolta, questa era la parola d’ordine del capitale.

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Matteo Moca, dottore di ricerca in Italianistica, è insegnante e critico letterario. Ha pubblicato la monografia, Tra parola e silenzio. Landolfi, Perec, Beckett (La scuola di Pitagora, 2017) e ha curato Madonna di fuoco e Madonna di neve di Giovanni Faldella (Quodlibet, 2019). Si occupa in particolare dell'opera di Tommaso Landolfi, e, tra gli altri, di Elsa Morante, Anna Maria Ortese e Georges Perec, oltre che delle convergenze tra letteratura e scienze umane. Scrive di letteratura contemporanea su quotidiani e riviste.

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