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Il noir oggi è lo specchio della società

Di Enrico Pitzianti • luglio 11, 2019


Ormai un anno fa Einaudi, era il giugno 2018, pubblicava Fa troppo freddo per morire, un giallo solido, e credo anche piuttosto apprezzato, venuto fuori dalla penna di Christian Frascella. La storia (quella contenuta nel romanzo, ma anche quella del romanzo) è interessante perché il libro sembra quasi nascere da un luogo: il protagonista, forse prima ancora dell’investigatore - ed ex poliziotto - Contrera, è un quartiere torinese che si chiama “Barriera di Milano”.

I romanzi gialli, come anche più nello specifico il noir, oggi sembrano delle reti da pesca per i temi più fertili e in rapida evoluzione della società contemporanea. Io stesso, prima di preparare questa intervista, riflettevo sul fatto che i gialli non li leggevo per niente, ma dal momento in cui società e politica hanno cominciato ad appassionarmi non ho più smesso.

Le storie, le finzioni, anche - se non soprattutto - quelle con morti, solitudine, precariato, povertà e paura del futuro, sono il modo ideale per pensare a come viviamo, e a come vorremmo vivere. Contrera, un uomo solo e riflessivo che come ufficio usa la lavanderia di Mohamed, è un personaggio di cui valeva la pena sapere di più. Quindi ho scritto direttamente all’autore che gli ha dato vita.

Fa troppo freddo per morire di Christian Frascella

C'è un uomo con un coltello piantato nel petto, dentro un locale a luci rosse di Torino. Fuori, un quartiere multietnico che assomiglia al mondo. A indagare sarà un investigatore destinato a lasciare il segno: Contrera, un adorabile sbruffone che nasconde dietro la battuta pronta i guai di una vita buttata all'aria con metodo.

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Nell’ambientazione del tuo romanzo è centrale il rione, il quartiere: una specie di nido in cui la storia si srotola naturalmente. Come mai? Forse in tempi in cui politicamente cresce prepotentemente un “orgoglio nazionale” tornare, attraverso la letteratura, alla dimensione della città non è sufficiente, mentre il quartiere riesce a dare al lettore un senso di appartenenza? Questa parte della città riesce a venir fuori nella storia forte tanto quanto un personaggio, caratterizzato e peculiare...

Il quartiere è l'anima di Contrera, con tutte le sue contraddizioni. Si muove in un contesto che conosce, di cui è figlio, e non riesce più a immaginarsi altrove. Mi interessava che il personaggio indagasse in poche strade, negli stessi locali, e nelle case, per raccontare il mondo multirazziale che lo circonda. Non so se sia una scelta 'politica'. Forse. Per adesso mi sembra solo una fotografia dal vero.


Pochi generi letterari si affidano al punto di vista di un solo protagonista e alla sua unicità, la sua solitudine, come nel giallo. Il protagonista del tuo romanzo conferma questa regola. Succede perché un’unica mente è il modo migliore per catturare e spingere all'empatia chi legge? O forse si tratta di una scelta che strizza l’occhio all’introversione e all’intimismo?

Entrambe le cose, credo, ma non premeditate. Ho sempre scritto romanzi in prima persona, perché cerco un personaggio forte, con una sua visione – anche sbagliata – delle cose. Ognuno ha il suo 'modo migliore' per raccontare le storie, la prima persona singolare è per me più viscerale, umana, onesta.

Permettimi di divagare oltre la letteratura per un momento: mi capita sempre più spesso di appassionarmi a programmi TV che hanno a che fare col giallo giudiziario, da Chi l’ha visto a Un giorno in pretura, fino a reportage e notizie drammatiche dai TG. Vengo al punto. Sono convinto di non essere il solo, ma che l’amore per questo tipo di storie sia in ascesa. Si tratta, chissà, di bisogno di giustizia diffuso?

Il romanzo nero è il romanzo della società contemporanea. L'orrore annunciato in tv spesso non ha colpevole né movente. Nei noir queste due componenti vengono sviscerate, e l'inquietudine della detection viene stemperata dalla risoluzione finale. C'è un chi e un perché. Il romanzo, i film e le serie propongono risposte che la realtà non sa dare. Sono in qualche modo rassicuranti. Circoscrivono la paura di esistere alla fiction.

Tornando all’importanza dell'ambientazione della tua storia: nell’universo del giallo, del noir e del poliziesco, ha ancora senso la distinzione - tipica del noir - tra romanzo “mediterraneo” e “metropolitano?

Non ci ho mai pensato. Un buon giallo è un buon giallo, qualunque sia la sua ambientazione. Città, isole, coste – per me non fa differenza, per cui credo che non ci sia alcuna distinzione.

Tu vivi a Roma, ma non è lì che hai ambientato la tua storia. Oggi la capitale è così in crisi da non riuscire a ospitare narrazioni che non prevedano direttamente di inscenare la “romanità”?

Parlo di quello che conosco meglio. Roma ha troppe facce, devo ancora guardarle tutte.

Ipotizzo: possibile che i drammi sociali e familiari, più o meno sgraziati e violenti, siano ancora un punto di vista privilegiato su ciò che non va nella comunità (quella reale, intendo) che abitiamo? Delle porte, degli squarci che ci permettono di mettere a fuoco difetti, errori e incuria che ci circondano?

Le famiglie sono la società.

Hai avuto un esordio non di genere. Come mai a un certo ti sei ritrovato a scrivere storie in questa forma? C'è stato un libro, un evento o un autore che ha firmato questa svolta?

Ho sempre letto polizieschi, fin da ragazzino. E ho desiderato scriverli. Ma non trovavo i personaggi e le storie giuste. Poi è arrivato Contrera, e ho capito che era giunto il momento. Ho scelto di scrivere di un investigatore privato perché considero 'Il lungo addio' di Raymond Chandler, che ha per protagonista l'iconico detective Marlowe, uno dei più importanti libri di sempre.

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Enrico Pitzianti, Cagliari 1988, è editor de L'Indiscreto e collaboratore di Esquire, Forbes, Il Foglio e cheFare.

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