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Date il Nobel a Roberto Calasso

Di Vanni Santoni • ottobre 07, 2020

Ogni anno, all’imminenza della cerimonia, sui social imperversa il “totonobel” – e non solo sui social, visto che i bookmaker inglesi forniscono letteralmente le quote, come se gli scrittori fossero cavalli. Si tratta di un gioco in cui indovinare non è mai scontato, per il consueto incrocio con la geopolitica del momento, per l’occasionale riconoscimento alla poesia (col pubblico generalista che ogni volta si stupisce di non conoscere il nome di alcun poeta di rilievo) e per i frequenti imprevisti – specie negli ultimi anni, visti lo scandalo sessuale che ha costretto a “compattare” le due edizioni vinte da Tokarczuk e Handke, o quella in cui il premio è stato assegnato a Bob Dylan.

Quest’anno i bookies danno favorita la francese della Guadalupa Maryse Condé (5:1), seguita dalla russa Lyudmilla Ulitskaya (6:1); a 7:1 due presenze consuete, Haruki Murakami, quello per cui in genere tifano tutti su Facebook (e in genere perché è l’unico che hanno letto), e Margaret Atwood, che, pur meritevole da decenni, è un po’ triste vedere così in alto solo grazie alla fama ottenuta da una serie TV. A 9:1 abbiamo il monumento vivente alla letteratura keniota Ngugi Wa Thiong’o; l’11:1 raccoglie Anne Carson, Javier Marias e Ko Un. Solitario a 13:1 il cinese Yan Lianke; bel gruppone a 17:1 con Can Xue, Annie Ernaux e Marilynne Robinson affiancate ai grandi vecchi della letteratura USA Cormac McCarthy e Don DeLillo. L’ultimo massimalista William T. Vollmann, a 30:1, sta un po’ sopra al campione dell’autofiction Karl Ove Knausgård, dato a 34:1 al pari di due favoriti del pubblico molto diversi nell’indole, quali Michel Houellebecq e Milan Kundera. C’è anche Stephen King: qualcuno deve essersi accorto del suo impatto sulla cultura popolare, dato che, un tempo impensabile in questo listino, oggi vale un 51:1.

Si tratta comunque di una lista estremamente dinamica, per di più dettata da valutazioni che vanno dall’intuitivo alla voce di corridoio, e che è stata spesso tradita dal risultato finale – si pensi solo agli anni trascorsi da Philip Roth in cima alle preferenze dei bookmaker. La cosa più giusta da fare con essa, oltre ovviamente a scommettere, è quindi continuare a usarla per giocare a proporre altre candidature.

La mia, forse perché faccio fatica a non pensare il Nobel anche come un premio alla carriera, o meglio all’impatto avuto sulla propria arte, è certamente quella di Thomas Pynchon. Definirlo il più grande scrittore vivente è molto facile; attaccare tale definizione, molto difficile, vista la vastità della sua influenza tanto nella letteratura quanto nell’immaginario pop – e nel modo stesso in cui pensiamo e rappresentiamo il mondo. Una decina di anni fa poteva vantare un bel 7:1 presso i bookmaker, ma non ha più raggiunto una quotazione del genere, complice forse il fatto che il suo ultimo, vero, grande capolavoro, Mason & Dixon, risale al 1997. Qualcuno potrebbe menzionare Contro il giorno, ma Contro il giorno è “solo” un grande libro di Pynchon (un detrattore potrebbe dire che è solo un grosso libro di Pynchon), in cui il gigante fa ormai maniera di se stesso. Il fatto, poi, che Pynchon viva recluso e potrebbe quindi non presentarsi alla cerimonia, abbassa ulteriormente le sue chance.

Uscendo dal campo dei mostri sacri (non che un Nobel a DeLillo o McCarthy mi spiacerebbe, intendiamoci), punterei il resto delle fiches sul romeno Mircea Cărtărescu, che l’anno scorso vantava una rispettabile quota di 14:1, forse oggi scesa per pure ragioni geografiche: sono stati diversi i Nobel recenti provenienti dalla Mitteleuropa o dall’Europa Centrale (anche l’ungherese Lázló Krasznahorkai, più volte candidato come Cărtărescu, quest’anno non figura nella parte alta delle quotazioni). Di certo, esclusi i tre “mostri” USA di cui sopra, nessuno tra gli altri papabili vanta un’opera che possa competere con Abbacinante per vastità e potenza (e lo dico senza aver letto Solenoide, ancora in corso di traduzione, roomanzo che alcuni – non ultimo l’autore stesso – dicono esser pure meglio). Certo, si potrebbe obiettare che senza Pynchon non esisterebbe Cărtărescu.

Ma arriviamo al mio “pick” italiano, che tuttavia non pongo minimamente sotto a Pynchon o Cărtărescu, anche se gioca su quotazioni molto più basse: Roberto Calasso. Già le opere basterebbero – in particolare quei miracoli di studio e stile che prendono il nome di Le nozze di Cadmo e Armonia, La rovina di Kasch, Ka e K.ma Calasso può vantare qualcosa di cui qualunque altro sfidante è assolutamente sprovvisto: l’aver creato, nei cinquantotto anni di vita delle edizioni Adelphi, un catalogo che è un’opera d’arte in sé, propugnando e coltivando un’idea di editoria che per qualità, coerenza, “discorso” e scarsa propensione ai compromessi, non ha eguali in Italia e nel mondo — e ancor meno ne ha in quest’epoca in cui lo stesso concetto di collana sta facendosi evanescente, cedendo il campo, in un contesto reso folle dalle pretese della distribuzione, a un’editoria che ragiona sempre di più e sempre più spesso per singolo libro.

Roberto Calasso, allora, al Nobel. Oltre che un ovvio vanto per il paese, sarebbe un segnale a tutti coloro che, amando la letteratura, ricordano che – ancora! – la letteratura sta nei libri, i libri stanno nelle collane, le collane stanno nei marchi editoriali, e a ognuno di questi livelli può e deve esserci un progetto che sia culturale, prima ancora che di marketing, e quando ciò accade il capolavoro può essere anche la collana, o la stessa casa editrice.

La Tavoletta dei Destini di Roberto Calasso

In quel tempo remoto gli dèi si erano stancati degli uomini, che facevano troppo chiasso, disturbando il loro sonno, e decisero di scatenare il Diluvio per eliminarli. Ma uno di loro, Ea, dio delle acque dolci sotterranee, non era d’accordo e consigliò a un suo protetto, Utnapishtim, di costruire un battello cubico dove ospitare uomini e animali.

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Vanni Santoni (1978), dopo l’esordio con Personaggi precari, ha pubblicato, tra gli altri, Gli interessi in comune (Feltrinelli, 2008), Se fossi fuoco arderei Firenze (Laterza, 2011), Muro di casse (Laterza, 2015), La stanza profonda (Laterza, 2017, candidato al Premio Strega) e I fratelli Michelangelo (Mondadori 2019), oltre alla trilogia Terra ignota, uscita per Mondadori tra il 2013 e il 2017. Collabora con numerose testate giornalistiche. Il suo ultimo libro è La scrittura non si insegna (Minimum Fax)

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