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Storia di Carlos Ruiz Zafón

Di Giuseppe Luca Scaffidi • giugno 23, 2020

È il 1996 quando un aspirante autore catalano, Carlos Ruiz Zafón, sta per riporre definitivamente il calamaio nel cassetto: in quegli anni, quasi sulla falsa riga del Charles Bukowski di Factotum – ma interessato da una parabola decisamente meno autodistruttiva – Carlos intraprende svariati mestieri per riuscire a sbarcare il lunario e ottenere una base economica che possa rivelarsi sufficiente a sostentare la propria ossessione per la scrittura: pubblicitario, copywriter, collaboratore delle pagine culturali dei periodici spagnoli El País e La Vanguardia, addirittura insegnante d’asilo. L’utopia impronunciabile, però, è quella di diventare uno scrittore a tempo pieno, ricacciando l’ineluttabile spirale di fame e precariato che ogni autore sembra essere costretto ad affrontare ai primordi della propria avventura editoriale. Nonostante i ritmi di lavoro stakanovisti, nel triennio precedente Zafón era riuscito a trovare il tempo necessario per inanellare ben tre romanzi, uno per anno: Il principe della nebbia (1993), Il palazzo della Mezzanotte (1994) e Le luci di settembre (1995), che assieme compongono la cosiddetta Trilogía de la niebla; storie dai toni leggeri, indirizzate a un pubblico di giovanissimi: la capitalizzazione letteraria delle lunghe ore trascorse tra i banchetti delle scuole d’infanzia.

Dalla parentesi young adult scaturiscono buoni consensi in termini di pubblico e critica, ma ancora largamente insufficienti ai fini dell’acquisizione dello status di romanziere di professione. Il passo successivo non può che essere quello di rivolgersi all’altra sponda dell’Oceano, buttandosi a capofitto nel sogno americano e abbracciando con fede ingenua la retorica di un Paese in cui ogni ambizione professionale, al prezzo di enormi sacrifici, sembra realizzabile. Come dichiarato dallo stesso Zafón in un’intervista rilasciata a Repubblica nel 2012, la sua idea era quella di bussare alle porte di Hollywood e scrivere per il cinema a tempo determinato, fino al raggiungimento della piena indipendenza economica. Un progetto che, ben presto, si rivelò più arduo del previsto:

«All'inizio pensavo di puntare su Londra o New York, poi un amico che faceva lo sceneggiatore a Hollywood mi dice: provaci anche tu. E allora decido di andarlo a trovare, senza sapere se mi sarei fermato due giorni, due settimane o due anni. Ne ho passati lì quasi venti… un equivoco e un errore di ingenuità. Per cominciare ho scoperto che il mio amico stava appena a galla da solo e certo non poteva aiutare nessuno. Subito dopo che l'idea di fare sceneggiature come un buon lavoretto mercenario ben pagato, abbastanza facile e leggero da lasciare a uno scrittore il tempo di dedicarsi ai suoi romanzi, era un'illusione».

Nel 1999, a tre anni dal suo approdo in California, Zafón torna a esplorare i luoghi sotterranei della sua città natale attraverso la stesura di un altro romanzo, Marina, l’ultimo della sua produzione dedicato a una platea giovane e il primo scritto da Los Angeles con lo sguardo rivolto alla Catalogna. Nella prefazione all’edizione del 2008, Zafón definisce Marina come il più personale dei suoi romanzi:

«Scrissi il romanzo a Los Angeles tra il 1996 e il 1997. Avevo allora quasi trentatré anni e iniziavo a sospettare che la prima gioventù, come l'aveva definita qualche sempliciotto, mi stesse scivolando tra le dita a velocità di crociera. In precedenza avevo pubblicato tre romanzi per ragazzi, e poco tempo dopo essermi imbarcato nella stesura di Marina ebbi la certezza che sarebbe stato l'ultimo libro del genere che avrei scritto. Via via che procedevo, tutto in quella storia cominciò ad avere un sapore di addio, e quando la terminai ebbi l'impressione che qualcosa dentro di me, qualcosa che ancora oggi non so bene cosa sia ma che mi manca ogni giorno, fosse rimasto lì per sempre. Marina è probabilmente il più indefinibile e il più difficile da classificare dei tanti romanzi che ho scritto, e forse il più personale di tutti. Paradossalmente, la sua pubblicazione è quella che mi ha causato più dispiaceri. È sopravvissuto a dieci anni di edizioni pessime e spesso fraudolente che a volte, senza che io potessi fare granché per evitarlo, hanno confuso molti lettori tentando di spacciare il romanzo per quello che non era. E tuttavia, lettori di ogni età e condizione continuano a scoprire qualcosa tra le sue pagine e ad accedere a quella soffitta dell'anima di cui ci parla Oscar, il suo narratore».

Marina di Carlos Ruiz Zafón

Barcellona, fine degli anni Settanta. Óscar Drai è un giovane studente che trascorre i faticosi anni della sua adolescenza in un cupo collegio della città catalana. Colmo di quella dolorosa energia così tipica dell'età, fatta in parti uguali di sogno e insofferenza, Óscar di tanto in tanto ama allontanarsi non visto dalle soffocanti mura del convitto, per perdersi nel dedalo di vie, ville e palazzi di quartieri che trasudano a ogni angolo storia e mistero.

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Marina anticipa alcune delle tematiche cardine che l’autore approfondirà negli anni successivi, come la demolizione della memoria, l’importanza di mantenere un saldo legame con le proprie radici e, soprattutto, il suo marchio di fabbrica: l’ambientazione. Quella di Zafón è una Barcellona atipica, spogliata di quella patina di solarità, festosità e gaudio con cui viene rivestita all’interno delle guide turistiche; la Barcellona in cui prendono corpo le vicende di Marinaè una Barcellona parallela, per nulla stereotipata: quella del modernismo, dei vicoli medievali, della nebbia gotica, del mistero; una città in perenne comunicazione con il proprio passato.

L'ombra del vento di Carlos Ruiz Zafón

A Barcellona, una mattina d'estate del 1945 il proprietario di un negozio di libri usati conduce il figlio undicenne, Daniel, al Cimitero dei Libri Dimenticati, un luogo segreto dove vengono sottratti all'oblio migliaia di volumi di cui il tempo ha cancellato il ricordo.

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Tuttavia, è soltanto nel 2001, dopo cinque anni impiegati nella stesura di sceneggiature e format televisivi, che la carriera di Zafón prende finalmente il largo: al primo giro di boa del nuovo millennio, l’autore catalano conosce la consacrazione internazionale attraverso la pubblicazione del suo romanzo più celebre, il primo specificamente indirizzato a un pubblico “adulto”: L'ombra del vento, atto di nascita della tetralogia de Il Cimitero dei Libri Dimenticati, cui faranno seguito Il gioco dell'angelo (2008), Il prigioniero del cielo (2011) e Il labirinto degli spiriti (2016). Come dichiarato dallo stesso Zafón nell’ambito di una conferenza tenuta al Teatro Franco Parenti di Milano nel 2016, L’ombra del vento affonda le proprie radici in un leitmotiv ben preciso: il tema della distruzione del ricordo.

«Avevo già scritto molto, ma principalmente cose che gli altri mi chiedevano di scrivere o che ritenevo di dover scrivere per compiacere il mio pubblico abituale, e mai qualcosa che volessi scrivere realmente. A un certo punto decido di darmi quest’opportunità: per la prima volta, inizio a lavorare su un qualcosa per cui non ho alcuna condizione, se non quelle dettate da me stesso. In quel periodo vivevo in California, e fui colpito da un tema che mi intrigava moltissimo: il fenomeno della distruzione del ricordo. Mi sembrava che tutto ciò che riguardava il passato, la memoria e, più in generale, l’identità delle cose e delle persone tendeva a venire cancellato. Era come se ogni mattina ci fosse una polizia silenziosa che passava e cancellava tutti i tratti del passato. Inoltre, a Los Angeles, mi capitava di imbattermi in moltissimi negozi di libri di seconda mano: luoghi enormi, fantastici, stracolmi di edizioni antichissime. Si trovavano in angoli della città sinistri, probabilmente gli unici in cui i proprietari potevano permettersi di pagare l’affitto. Sembravano delle vere e proprie caverne piene di libri, delle catacombe di opere dimenticate, che rafforzavano la sensazione dello smarrimento della memoria. Tutti i miei romanzi nascono da un’immagine: in questo caso, quella di un santuario in cui i libri vengono conservati e protetti per sempre, nell’attesa che qualcuno li incontri per riportarli in vita».

Il Labirinto degli Spiriti di Carlos Ruiz Zafón

Barcellona, fine anni '50. Daniel Sempere non è più il ragazzino che abbiamo conosciuto tra i cunicoli del Cimitero dei Libri Dimenticati, alla scoperta del volume che gli avrebbe cambiato la vita. Il mistero della morte di sua madre Isabella ha aperto una voragine nella sua anima, un abisso dal quale la moglie Bea e il fedele amico Fermín stanno cercando di salvarlo.

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Il romanzo, ambientato in una Barcellona che sta per tagliare i ponti con il trauma della dittatura, riflette il silenzio intergenerazionale sulla guerra civile spagnola – e sulla sua repressione – attraverso l’epopea vissuta dal personaggio più celebre dell’intera produzione letteraria di Zafón: Daniel Sempere. Nel giorno del suo undicesimo compleanno, Daniel viene condotto dal padre in un luogo della città ormai obliato, costretto alla damnatio memoriae dalla macchina negazionista del regime franchista: il Cimitero dei libri perduti, un mausoleo dedicato alle opere fuori stampa, tenuto in vita dalla passione dei pochi bibliofili rimasti attivi in città. All’interno di questo luogo sotterraneo, Daniel entra in possesso del volume La sombra del viento, scritto da Julián Carax, che cattura immediatamente la sua giovane immaginazione. Ripercorrendo le tappe della vita di Carax, Daniel ha la possibilità di percorrere le strade di una Barcellona a lui sconosciuta: quella prebellica, una città in cui il sangue non ha ancora incominciato a sgorgare, un locus amoenus collocato in una dimensione temporale inaccessibile, eretto a partire da un sistema di valori ormai desueto, perfetta allegoria della coscienza di un paese che non ha ancora chiuso i conti con il proprio vissuto.

Nonostante abbia finito con il colonizzare l’immaginario collettivo, la vicenda editoriale de L’ombra del vento fu abbastanza travagliata: nel 2001, quando il libro fece per la prima volta la propria comparsa sugli scaffali delle librerie spagnole, passò quasi inosservato: fu il semplice passaparola dei pochi che lo avevano letto a tramutarlo in un vero e proprio caso editoriale, foriero di incassi da capogiro. A confermarlo sono le statistiche: 15 milioni di copie vendute in tutto il mondo, tradotto in 36 lingue nei cinque continenti.

Il passaggio dalla narrativa per ragazzi a quella più matura consacrò Zafón come un autore di respiro internazionale, lo scrittore spagnolo più letto di tutti i tempi dopo Miguel de Cervantes.

Prendendo in prestito un’espressione utilizzata da Laura Fernández, che ha dedicato all’autore uno splendido encomio sulle colonne de El Pais, L’ombra del vento ha posizionato Barcellona al di sopra di una mappa in cui non aveva mai fatto ingresso: quella dei bestseller internazionali, che sarebbe stata poi monopolizzata dai titoli di Ken Follett, John Grisham e Dan Brown, e che ha permesso che la città diventasse un centro di interesse letterario per un racconto di portata globale.

Giuseppe Luca Scaffidi è un articolista freelance. Ha collaborato con varie realtà editoriali, tra cui The Vision, Jacobin Italia, DINAMOpress e la rivista indipendente menelique.

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